Sedetti sulla sedia cigolante poiché l'udito s'adirava al suo perpetuar ed ella smise. Chiusi la porta altalenante poiché il freddo pervadeva il piccolo spazio ed ella smise. Nascosi la mia vita dai problemi asfissianti, poiché non seppi agire, ed essi rimasero ad adirarmi, pervadermi, fissarmi.
E per anni m'intrecciai in questa contorta maniera, recitando di una comica felicità e così vissi ogni giorno, fino a domandarmi se tuttavia stessi esistendo. Vidi quell'ormai ferma porta e tentai di smuovere la sedia defunta. Fu per me un funerale quando compresi d'aver perso qualcosa. Che potevano per me essere una sedia ed una porta comparate ad un'intera vita soffferente, se non pura ingenuità?
La vita proseguiva come un cortometraggio ne ero un innocente protagonista ma soprattutto spettatore, tuttavia ne volevo essere regista e sceneggiatore. Viverla era come udire una melodia dalle mie mani suonata, ma non dalla mia mente concepita. Era la mia vita, eppure agivo per un'altrui influenza. Non seguivo le mie ondate di pensiero, semplicemente annegavo nella loro implicita visione di me.
Com'era possibile vivere ancora in bianco e nero? E fu così che sollevai il mio sguardo verso una bianca distesa e scorsi qualcosa. Una serie di colori che cominciai a seguire. Dove mi avrebbero portati mai l'avrei saputo, tuttavia sapeva di felicità. Mi trascinai fino a camminare, per poi correre, e fu lì che vidi altre anime stanche di sostare in una grigia fase della loro esistenza. Fu così che cominciammo a camminare e farci udire, non come loro pretendevano, ma come meglio ci avrebbe fatto sentire.
E così smisi di nascondere quei problemi dalla mia vita, bensì li affrontai e lentamente smisero di asfissiarmi. Ed un giorno, con occhi lacrimanti, mi avvicinai all'ancora della mia vita che premurosamente mi domandò cos'affliggesse il mio animo da ormai troppo tempo tormentato. E fu lì che le sorrisi man mano che tutto assunse colori e sfumature. Ed in quel momento le domandai premurosamente cos'affliggesse questo mondo così spaventato. Compresi da solo fosse la mia felicità, una sensazione nuova che provai quando finalmente mi compresi ed accettai, ed amai.
E compresi anche d'aver troppo sofferto per aver tenuto gli occhi chiusi dinanzi alla possibilità di abbracciare la bellezza della vita, e notai come coloro incapaci di vedere quei colori e di scorgere la bellezza della vita avessero gli occhi chiusi. E se per un attimo li aprissero, capirebbero che non vi è paura, non dell'uomo che ama un uomo, non di una donna che ama una donna, o di una persona che non si sente a suo agio nel corpo in cui è nata, perché come si può temere l'amore? Come lo si può temere quando vi sono persone che odiano?
Perché si ha paura di chi ha il coraggio di amare, ma non di chi ha la spavalderia di odiare?